Appuntamento in preparazione del giorno della Memoria
22 gennaio ore 20.45 Elisabetta Ruffini Direttrice ISREC Bergamo PRESENTAZIONE DEL LIBRO da lei tradotto “Nessuno di noi ritornerà” di Charlotte Delbo
“Una lunga poesia per raccontare la deportazione femminile a Birkenau”
LIVE PAINTING di Oliviero Passera
presso SALA POLIVALENTE LA SOLIDARIETÀ VIA IV NOVEMBRE DALMINE
Buongiorno, volevo condividere il mio pensiero in merito al giorno della memoria ed ho pertanto deciso di inviarvi l’articolo da me scritto a proposito. Purtroppo non sono riuscita ad inviare la fotografia oggetto dell’articolo stesso e riguardante un prigioniero di guerra dalla nazionalità non precisata. Nel caso in cui riteneste il mio commento degno di pubblicazione vi prego di contattarmi affinché possa mettervi a disposizione la foto da allegare al testo. In caso contrario grazie comunque per aver preso in visione quanto ho scritto. Cordiali saluti, Mara Ghezzi
27 gennaio 2016. Giorno della memoria e 71° anniversario dell’apertura dei cancelli di Auschwitz.
In un’epoca a noi non troppo lontana il genere umano ha smesso di celare il suo lato più gretto ed oscuro, esibendolo al mondo e causando atroci ed immotivate sofferenze. Ha tirato fuori il suo lato più freddo ma anche il più efficiente, il più calcolatore ed il meno umano; dimenticandosi forse di come il cervello possa essere una macchina assai inaccurata in assenza di una spina che la colleghi al cuore.
Come accade in tutte le situazioni più estreme, in quelle in cui il limite fra la vita e la morte diventa quasi impalpabile e l’eterno dissidio fra bene e male raggiunge il suo apice, ci venne svelata la vera indole di ogni uomo. E’ sempre in tali circostanze infatti che gli uomini mostrano il meglio o il peggio di loro e così scrivono la storia. Quella storia che non è dettata dalle gesta dei grandi condottieri, né da uno spaurito gruppo di avvenimenti emblematici, ma il cui filo si stende pian piano, nascendo dalla globale volontà di tutti gli esseri viventi. L’associazione fra storia e grandezza non è altro che una illusoria ambizione umana, e la storia è in realtà un soggetto umile nel quale il corso degli eventi è determinato dai gesti più banali, dagli sguardi, dai silenzi, dalle parole e dalle volontà più basilari. Perché siamo noi, all’interno di un grande disegno, a tessere insieme col nostro destino, con le nostre scelte e la nostra brutale indifferenza, anche quello dell’intera umanità.
Eventi come quello della Shoah avrebbero dovuto condurre il genere umano ad un’inevitabile autodistruzione, eppure non fu così. Mi sono sempre chiesta come sia stato possibile che la luce abbia trovato la forza di trionfare ancora nel bel mezzo di tanta oscurità. Gli storici in fondo la fanno troppo breve, tentando di liquidare la questione con numeri e disposizioni prese in questo o quest’altro conflitto o in un trattato piuttosto che in quello successivo. Essi si fermano a ciò che appare più evidente senza alcuna intenzione di scavare più a fondo e la loro superficialità li punisce, facendoli incorrere in madornali errori.
In realtà infatti la ragione di quella miracolosa vittoria risiede ancora in quei piccoli gesti che non vengono considerati da nessuno ma il cui merito è tanto più grande quanto maggiore è il silenzio che vi incombe.
Se riuscimmo a risorgere dalle tenebre e a dirottare il corso degli eventi forse fu anche grazie allo sguardo penetrante e sublimemente indignato del prigioniero di questa foto. Uno sguardo che non può essere altro che l’essenza stessa e l’anima della determinazione e non solo.
Per quanto possa risultare assurdo e banale gran parte delle risposte alle nostre domande risiedono negli occhi di questo ragazzo, che se ne sta in piedi, mezzo nudo, in un campo di morte e dolore nel quale tutti si sono già arresi. Tutti tranne lui che rimane lì imperterrito a sostenere un mostruoso faccia faccia con Himmler, uno dei più grandi gerarchi nazisti di tutto il Reich.
Himmler che a quanto dicono è giunto per condurre un’ispezione ma che probabilmente ambisce solo a fare una piacevole passeggiata, simile a quella del proprietario di uno zoo che, girando fra le gabbie, ammira soddisfatto i “trofei” che ha abilmente rinchiuso dietro a quelle gelide sbarre metalliche. Ed è così che porta sul volto un’espressione appagata di boriosa soddisfazione personale, che contagia e si espande anche sul viso dei suoi sottoposti, ma impietrisce dinanzi alla risoluta compostezza di quel prigioniero tramutandosi in un sorriso falso e pieno di disprezzo. Un riso di scherno che non è in realtà altro che l’esteriore tentativo di sminuire e ridicolizzare la figura che si trovano dinanzi e con il quale, ognuno agli occhi di chi gli sta accanto, tenta di mascherare la sua rabbia e la sua impotenza di fronte alla maestosità di quegli occhi. L’impotenza e la rabbia di chi non sa più a che mezzi ricorrere per piegare un simile animo e in cuor suo, pur sapendolo, non accetta l’impossibilità di riuscirvi, nonostante la violenza e la privazione di qualsiasi bisogno non siano stati sufficienti a rimuovere quel “qualcosa ancora da perdere” su cui getta le sue radici quello sguardo.
Quell’ultimo appiglio al quale l’animo del prigioniero si aggrappa in maniera tanto determinata e salda da costituire su di esso tutta la sua forza. Una forza che schiaccia ed atterrisce per la sua enormità, qualsiasi miserabile efferatezza. Nello sguardo di quel ragazzo si individua ancora un’ultima speranza, impossibile da sopprimere e da rimuovere, che guida gli uomini a prendere le redini del loro destino: la speranza della libertà. Pur inconsapevolmente tutti i nostri atti vitali non rispondono ad altra ambizione se non ha quella di essere liberi e nonostante un uomo non sia libero o nonostante gli venga ragionevolmente spiegato che non potrà mai esserlo a tutti gli effetti, a causa dell’influenza del tempo e delle circostanze, egli non sarà mai in grado di non considerarsi tale. Un grande saggio diceva che non si potrebbe immaginare un uomo privo di libertà se non immaginandoselo privo di vita. Ecco quindi che tale affermazione ci appare come una sacrosanta verità ma non sappiamo spiegarci il perché, percepiamo solo che è così, lo comprendiamo con ogni singola molecola del nostro essere ma non sappiamo trovarvi una motivazione. Posti dinanzi alla nostra impossibilità di trovare delle ragioni a tutto ciò ci arrendiamo quindi al fatto che la libertà sia la forza vitale che rappresenta l’ignoto residuo di ciò che non conosciamo e non potremo mai arrivare a conoscere dell’essenza della vita. E la nostra ignoranza su simili argomenti non ci delude ma ci affascina, poiché guardiamo con sorprendente meraviglia il segreto che, stando alla base della nostra vita, non saremo mai in grado di capire, ma che non potrà mai nemmeno esserci sottratto.
Ecco quindi che i fatti di quel tempo non ci appaiono più così lontani e comprendiamo che il loro anniversario non rappresenta un mero ricordo storico, privo di alcun significato, ma vuole in realtà essere uno sprone costante alla persecuzione di quell’irrinunciabile libertà a cui dovremmo ispirarci quotidianamente. Un’aspirazione difficile da coltivare ma che apprezza i tentativi e l’impegno di chi, provando a migliorare la propria vita, accetta anche di scrivere la storia.
Mara Ghezzi, 27 Gennaio 2016